<<Mio figlio non socializza! Preferisce stare a casa, si isolana e non hanno il desiderio di stare con gli amici, andare al bar, in discoteca. Credo non sia “normale”.>>
Questa è una delle e-mail che arrivano dei tanti genitori preoccupati per il comportamento dei propri figli.
Ogni caso di un bambino o di un giovane che si isola è unico nel suo genere. Normalmente possiamo parlare di due grandi macrocategorie di “figli che si isolano”:
- 1) Il ragazzo semplicemente più sensibile, che vede le cose in maniera diversa rispetto al gruppo di pari, e che magari vuole stare lontano da relazioni fatte da convenienza, ipocrisia, da conversazioni vuote.
- 2) Il ragazzo che non si sente adeguato alla gestione del rapporto con gli amici, che usa l’isolamento come protezione dalla realtà. Il linguaggio che gli appartiene non è il linguaggio che c’è all’esterno. Non vede l’ora di isolarsi per stare nel “suo” mondo, lontano da tutti, a volte anche dalla famiglia.
L’unica arma dei genitori in questi casi è la comprensione e l’empatia. Attraverso il dialogo e attraverso dei momenti di condivisione delle esperienze quotidiane si può arrivare a percepire la natura del disagio.
Parlo spesso di percezione del disagio da parte dei genitori poichè, nella maggior parte dei casi, se il bambino usa l’isolamento come meccanismo di difesa o stile comunicativo, è probabile che lo abbia appreso proprio tra le mura domestiche, e quindi, sarà poco proteso alla condivisione di sentimenti, impressione ed esperienze.
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